Fare satira può essere illecito?

La satira è irriverente, sferzante, impietosa. Molti addirittura credono che alla satira tutto sia permesso ma è veramente così? Quand’è che la satira può divenire illecita o addirittura reato?

Il diritto di satira

In primo luogo, è necessario capire cosa sia la satira. La Corte di cassazione l’ha definita «una forma artistica che mira all’ironia sino al sarcasmo e alla irrisione di chi eserciti un pubblico potere, merita tutela e il relativo esercizio è incompatibile con il parametro della verità» (sent. n. 5065/2013). In altre parole, la satira è una forma particolare del diritto di critica, che si basa sull’ironia e sul sarcasmo, talvolta in modo molto corrosivo e duro (diretta talvolta anche a chi non esercita un pubblico potere). Una delle sue caratteristiche è lo stravolgimento intenzionale della verità, nel senso che essa è socialmente riconosciuta come forma espressiva che ricorre all’inverosimiglianza, all’esagerazione, alla caricatura.

L’articolo 21 della Costituzione tutela la libertà di espressione del pensiero e quindi anche quella particolare forma di espressione che è la satira. Ora, la libertà di espressione non è assoluta nel senso che deve rispettare, tra l’altro, altri diritti e libertà costituzionali come – ad esempio – il diritto alla reputazione.

La diffamazione e i requisiti della critica e della satira

Chiunque lede ingiustificatamente la reputazione altrui rischia di commettere il reato di diffamazione (articolo 595 del codice penale). Come si armonizza il dovere di rispettare la reputazione altrui con il diritto di critica? La critica è legittima se è:

  1. Cioè corrisponde ad un interesse apprezzabile dei destinatari a conoscere l’oggetto della critica.
  2. Qualora si basi su fatti determinati, questi devono essere veri. Le valutazioni e i giudizi sono tuttavia soggettivi.
  3. Cioè la critica non deve trasmodare in insulti gratuiti, attacchi lesivi della dignità della persona.

Ma se la satira è una forma di diritto di critica, come può riportare fatti “veri” ed essere “continente”? Non ho forse detto che la satira si basa sull’inverosimiglianza e l’esagerazione? Non si caratterizza per la critica impietosa, corrosiva e quindi potenzialmente incontinente?

Alla domanda sulla “verità”, la giurisprudenza di legittimità ha risposto come segue: «Il diritto di satira, a differenza da quello di cronaca, è sottratto al parametro della verità del fatto, in quanto esprime, mediante il paradosso e la metafora surreale, un giudizio ironico su un fatto, purché il fatto sia espresso in modo apertamente difforme dalla realtà, tanto da potersene apprezzare subito l’inverosimiglianza e il carattere iperbolico: altrimenti, nemmeno la satira sfugge al limite della correttezza e della continenza delle espressioni o delle immagini utilizzate, rappresentando comunque una forma di critica caratterizzata dal carattere corrosivo dei particolari mezzi espressivi […]» (Cass. civile sez. III, sent. n. 6787 del 7 aprile 2016).

E per quanto riguarda la continenza? Ecco la risposta della Cassazione: «[la satira] non si sottrae invece al limite della continenza, poiché comunque rappresenta una forma di critica caratterizzata da particolari mezzi espressivi. Ne consegue che, come ogni altra critica, la satira non sfugge al limite della correttezza, onde non può essere invocata la scriminante ex art. 51 c.p. per le attribuzioni di condotte illecite o moralmente disonorevoli, gli accostamenti volgari o ripugnanti, la deformazione dell’immagine in modo da suscitare disprezzo e dileggio» (Cassazione penale sez. V, sent. n. 32862/2019).

Il caso

Nella pratica, come applicare questi principi? In un caso di pochi anni fa, su un noto periodico nazionale, un giornalista si era riferito ad un personaggio politico (anche lui giornalista) utilizzando il colorito termine “merda”. Più precisamente, era uscita la notizia che il personaggio politico fosse coinvolto con i servizi segreti militari. Alla domanda di un lettore del periodico, se la vicenda poteva accostarsi a quella di Hemingway, anche lui spia, il giornalista rispose ricorrendo ad una battuta del comico milanese Gino Bramieri, dichiarando che bisognava “evitare di confondere il risotto con la merda”.

Il politico allora portò il caso davanti al Tribunale, chiedendo il risarcimento del danno alla sua reputazione. Il Tribunale gli diede ragione, riconoscendogli 50.000 euro a titolo di risarcimento. Tuttavia, l’editrice del giornale fece ricorso in appello. La Corte d’appello ribaltò la decisione, ritenendo che ci fosse un legittimo esercizio del diritto di satira. Il caso finì allora in Cassazione. Come si concluse il caso davanti alla Suprema Corte?

La Cassazione (civ. sez. III, sent. n. 6787/2016) si pronunciò nel seguente modo: «non è censurabile in sede di legittimità […] la valutazione del giudice del merito sul legittimo esercizio del diritto di satira in caso di impiego di un detto popolare che comporti il rischio di identificazione di una persona con un escremento, se contestualizzata e riconosciuta sorretta dall’intento di esasperazione grottesca od iperbolica dell’impraticabilità di un ipotizzato paragone della condotta da quella persona tenuta, pubblicamente ammessa o riconosciuta, ad altra vicenda storica». In altre parole, la Corte d’appello aveva valutato correttamente le espressioni del giornalista, ritenendole una manifestazione legittima di satira: anche se la parola usata (“merda”), rischiava di identificare la persona del politico con un escremento, la circostanza che corrispondesse all’applicazione satirica di un detto popolare per esprimere in modo iperbolico l’improponibilità di un paragone, escludeva che ci potesse essere un danno alla reputazione.

In sintesi, quando si tratta di satira, i limiti sono più larghi e il rispetto della continenza espressiva meno stringente… è quindi anche più facile evitare di ledere la reputazione altrui e commettere il reato di diffamazione.

Fare satira può essere illecito?